Endometriosi non è sempre sinonimo di infertilità: una gravidanza è possibile anche in questo caso, nonostante le probabilità siano inferiori rispetto ad una donna sana. Alcune volte, per di più, una gravidanza può aiutare ad alleviare i sintomi dell’endometriosi, ma questa situazione non deve essere interpretata erroneamente, come riporta un articolo pubblicato sulla rivista Human Reproduction Update, ovvero «pensare alla gestazione come a un’occasione per gestire e trattare l’endometriosi», perché non sempre i sintomi si attenuano; in questa fase, oltretutto, la terapia ormonale deve essere sospesa. Se non sono presenti cisti ovariche piuttosto voluminose e le tube di Falloppio funzionano bene perché non sono lesionate o non hanno aderenze con altri organi circostanti, ci sono buone premesse per intraprendere una gravidanza.
Di solito, il periodo di “tentativi” per avere una gravidanza “spontanea” si aggira attorno ai 6-12 mesi, dopo i quali, in caso di esito negativo, si può ricorrere ad un intervento chirurgico in laparoscopia in cui vengono rimosse le probabili ed eventuali cause (lesioni, aderenze) che non rendono possibile il concepimento; se nonostante ciò, o nel caso la donna non riesca a concepire naturalmente, viene consigliata la fecondazione assistita.
Una volta intrapresa la gravidanza, bisogna essere consapevoli che il rischio di avere qualche complicanza esiste: si può andare incontro, infatti, a problemi di ipertensione (della mamma) e ad una maggiore possibilità di partorire con il taglio cesareo. Nonostante ciò, grazie soprattutto alla fecondazione assistita, intraprendere una gravidanza e portarla a termine con successo in presenza di endometriosi è una sfida da cui si può uscire vittoriose.
La tecnica di procreazione medicalmente assistita più utilizzata è la FIVET (Fecondazione In Vitro con Trasferimento nell'utero), ed è quella di maggiore successo, oltre ad essere poco invasiva. Questa tecnica prevede diversi passaggi.
Innanzitutto, la prima fase è rappresentata dalla stimolazione ovarica. Questa fase è necessaria per sollecitare la produzione di follicoli a livello delle ovaie e viene effettuato tramite la somministrazione di farmaci (gonadotropine) che stimolano le gonadi, cioè gli organi sessuali femminili; in questo modo le ovaie producono una maggiore quantità di ovociti (normalmente ne viene prodotto solo uno) per poter avere a disposizione una maggiore quantità di embrioni. Questo è un trattamento personalizzato su ogni paziente e ha una durata che può variare dai 10 ai 20 giorni.
Nella successiva fase vengono prelevati degli ovociti dalle ovaie della donna tramite una breve operazione (la durata è di circa 15 minuti, un piccolo ago viene inserito nella vagina con una sonda per monitorare il tutto) che può avere come effetto collaterale, in alcuni casi, un leggero sanguinamento vaginale e dei crampi. Gli ovociti prelevati, affinchè siano fecondati, vengono messi su una piastra di coltura insieme agli spermatozoi precedentemente prelevati e selezionati del partner e, dopo circa 5 giorni dalla fecondazione “in vitro”, essi vengono trasferiti nell’utero della donna sempre tramite una piccola siringa. La percentuale di successo di questa operazione varia dal 25 al 35% per ogni ciclo e dipende dall’età della donna e dalla sua risposta alla terapia.
Un’altra tecnica proposta è la Icsi (Iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo); questa tecnica avviene generalmente in quattro fasi ed è molto simile alla FIVET, con l’unica differenza che la fecondazione non avviene autonomamente ma lo spermatozoo, precedentemente selezionato per qualità e motilità, viene iniettato direttamente nell’ovocita tramite un sottile ago.